Gli ingredienti del successo di un cantante al giorno d’oggi pt1

Gli ingredienti del successo di un cantante al giorno d’oggi pt1

“Gli ingredienti del successo di un cantante al giorno d’oggi pt1”

Gli ingredienti del successo di un cantante al giorno d’oggi pt1

 
 
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Ciao, benvenuto in questo nuovo articolo di Music Caffeina, siamo Daniele Iudicone e Lorenzo Sebastiani.

Oggi parleremo di quali sono gli ingredienti del successo di un cantante o musicista, dal 2019 in avanti.

Per prima cosa, dobbiamo ridefinire il concetto stesso di “successo”.

Ciò che infatti si intendeva per successo negli anni Ottanta/Novanta non è una formula che si può riproporre nel presente.

Innanzitutto, perché una volta esisteva la casa discografica.

Facciamo una piccola premessa: le cose sono cambiate molto negli ultimi anni, da quando YouTube è arrivato. Dal 2008/2009 è cambiato praticamente tutto.

YouTube, insieme a iTunes e tutta la musica digitale, ha smantellato la discografia.

Quelli che erano gli introiti che mantenevano la casa discografica, con i relativi investimenti sugli artisti, sono completamente declassati.

Il referente di Lorenzo, negli anni Novanta, era la casa discografica.

Oggi è diventato una persona che magari vuole esprimersi attraverso la musica pur facendo un altro lavoro, dunque cerca su internet e trovando il sito di Lorenzo spera di poter arrangiare un brano e avviare una propria carriera.

Questa è la grossa differenza. Certo, esiste ancora la musica bella e quella brutta, ma di base il grosso gap è la mancanza di quell’assistente che era la casa discografica.

Una volta c’era la mitologica figura del talent scout che andava nei locali, ti sceglieva e ti diceva: “Daniele, mi piace tantissimo come canti. Ti prendo, ti metto sotto contratto, pago te e tutti i tuoi collaboratori e ti offro anche una serie di servizi di cui potresti aver bisogno: studio di registrazione, produttore, professionisti, addetto alla cura della tua immagine”.

Era un vero e proprio pacchetto che ti vendevano.

Oggi questo non c’è più, perché nessuno ci guadagna: i dischi non si vendono più.

Spotify d’altronde è solo un palliativo, perché non può compensare quella mancanza di introiti derivante dall’assenza della discografia.

Se guardi i dati del mercato musicale dagli anni Novanta a oggi da un punto di vista imprenditoriale, puoi notare un tonfo incredibile. C’è stato un periodo in cui era un decimo e, nonostante il cambiamento sia stato a dir poco epocale, non se ne è mai sentito parlare.

Poi bisogna considerare anche la sfortuna derivante dal fatto che questo ambiente è dominato molto dall’ego, dall’individualismo, dal sentirsi una star, quindi è difficile pensare che ci si metta a tavolino e si dica: “Dai, c’è ‘sto problema, lo risolviamo?”.

No, ognuno pensa ai fatti suoi e basta.

Poi ovviamente anche le nuove opportunità delle tecnologie hanno cambiato tutto.

Il problema è che non se ne è mai parlato a sufficienza, e i grandi media come YouTube ne hanno approfittato, riempiendosi di moltissimi contenuti, la maggior parte dei quali illegale.

Ci si schermava dietro la responsabilità personale di chi caricava i video, ma il rischio era di spendere un sacco di soldi per produrre un brano, che poi un ragazzino metteva su YouTube.

La piattaforma ne guadagna in pubblicità, ma la discografia perde totalmente i suoi introiti.

La discografia non esiste più, o esiste in parte.

Ciò che fa oggi non è più investire grosse quantità di denaro come una volta, ma supportare con promozioni, licenze, o magari con la registrazione dei video.

Fondamentalmente, dunque, gran parte della spesa del progetto è a carico dell’artista.

Ovviamente non ci riferiamo a quelli famosi, con un’attività già avviata e dei fan, ma al ragazzo giovane o alla band emergente, per cui sarà praticamente impossibile trovare una casa discografica.

Tutto il mondo della musica underground alla fine era costruito così: si suonava e si spediva il disco o il provino, sperando nella casa discografica.

Ora la casa discografica, invece, guarda i dati di mercato: piuttosto che scegliere l’artista più talentuoso, preferisce quello che ha più fan.

Spotify in questo senso è una perfetta rappresentazione della giungla dove vige la legge del più forte: quello che riesce ad avere più stream, più audience, più fan su Facebook – intendiamo quelli veri, non quelli che si comprano – sarà sicuramente favorito.

È un criterio di valutazione che mostra non tanto la bravura dell’artista ma la sua capacità di mantenere il pubblico.

C’è quindi proprio un cambio di mentalità, e questo porta a una diversa visione del concetto di “successo”.

L’esperienza di Daniele Iudicone

Dopo aver fatto il progetto musicale, la band Humana cercò una casa discografica.

Non appena il prodotto fu finito, con il CD pronto, Daniele stesso si mosse in prima persona, convinto di dover semplicemente vendere la sua musica con i suoi metodi da esperto di marketing.

Chiamava le varie case e parlava con le segretarie, in quanto credeva fosse meglio un contatto prima di spedire il disco.

Riuscì a fissare alcuni appuntamenti, come quello alla Warner, alla Emi, alla Sony, trovando poi dei referenti.

In realtà, però, trovò i suoi approcci non così funzionanti!

C’è da dire, infatti, che bisogna avere delle basi.

Ai tempi, era il 2012, Daniele aveva già un’esperienza di 12/13 anni nel mondo della vendita, e per lui fu quindi abbastanza semplice riuscire ad approcciare in quel modo “commerciale” il mondo della musica.

  • Ma come fa un ragazzo di vent’anni che non è mai stato a contatto con questa realtà?
  • Come fa ad approcciare la Sony come un venditore, stando al centralino per cercare di scoprire il nome del manager, dell’etichetta, per cercare di arrivare lì?

Non lo fa e non ce la farà mai.

E non tanto per il centralino della Sony, ma perché si cerca di ripercorrere uno schema che non esiste più.

Non è tanto come e dove ti rispondono, ma è proprio la ricerca di qualcosa che ormai non esiste più. Non sono interessati a questo tipo di progetti.

Se ora tu dopo aver prodotto un brano vai in una casa discografica o mandi una e-mail, magari ti rispondono pure, ma è raro che si vada oltre.

La ricerca non viene più fatta in termini di qualità o bravura dell’artista. Viene fatta in termini di ritorni che riesce a generare quell’artista.

Probabilmente neanche le case discografiche sono più in grado di riconoscere ciò che potrebbe andare domani o, ancora, oggi.

Lo possono intendere secondo le regole di mercato, valutando se c’è qualche amico – o qualche migliaio di persone – che ti segue, che viene ai tuoi concerti.

È una ricerca di “simili” quella che si fa in questa fase.

Cioè la ricerca di persone che sentono la musica come te.

Dove andrai a cercare questi simili?

Attraverso i live, che permettono di darti visibilità.

Sono fondamentali: ti mostrano com’è veramente la tua musica, come esce fuori.

Infatti, finché tu vai a registrare il brano in uno studio megagalattico, verrà sicuramente fuori un bel disco. Devi mantenere poi il livello nei live.

Quindi, un consiglio fondamentale che vogliamo dare a te che stai iniziando il tuo progetto musicale: evita di andare in giro a cercare case discografiche.

Almeno nella prima fase. Non è utile.

Ciò che è utile, agli inizi, è cercare la gente, i fan, il tuo pubblico. Anche dieci, venti, trenta persone vanno bene.

L’importante è saper gestire bene il proprio orticello, curando i social, avendo una buona comunicazione, uscendo da quel concetto per cui se vai sotto casa discografica avrai un contratto e sarai pagato.

Daniele con gli Humana ebbe un contratto con la casa discografica Halidon, andando in giro e facendo un lavoro di vendita che però fu un qualcosa di totalmente diverso.

Un po’ ce lo sentivamo, infatti era più un “Proviamo!”, con un contratto molto particolare. La situazione era strana e abbiamo preso anche qualche buca, ve lo racconteremo!

Ciò che deve esserti chiaro, nella prima fase, è la grande perdita di tempo che sarebbe per te andare a cercare una casa discografica.

Esci dallo schema “vado-lavoro-faccio dischi-mi pagano”.

È uno schema assistenzialista.

A meno che non introducano il reddito di cittadinanza per i musicisti…

Esci dalla mentalità dell’artista passivo

Una mentalità passiva era ciò che si poteva permettere un artista negli anni Ottanta, perché l’attività discografica era forte: ti indirizzava, ti seguiva, ti curava e ti pagava!

Poteva diventare un mestiere!

Quando si parlava di “contratto discografico” sembrava che ti fossi sistemato per tutta la vita!

(Poi magari ti rimanevano 40 lire e non potevi farci niente…)

Non era sicuramente il mondo delle favole, e infatti tanti artisti non partivano nemmeno.

Questo processo vecchio purtroppo è ancora in molte teste, ma deve uscire sicuramente dalla tua.

Evitalo: non esiste più!

 Se l’argomento ti è interessato ti diamo appuntamento al prossimo articolo di Music Caffeina, dove affronteremo punto per punto le fasi che dovrai seguire per arrivare al successo.

Oggi, per cominciare, abbiamo definito cos’è il “successo” per un cantante o un progetto e ti abbiamo mostrato a cosa devi stare attento in questo percorso.

Ricordalo sempre:

Il successo è farsi conoscere.

Grazie mille per averci seguito!

Al prossimo articolo, ciao!